Se c’è stato un film che ha saputo raccontare (e anticipare) in maniera lucidissima l’Italia che conosciamo e che conoscevamo, mostrandocela nella sua veste più vacua e grottesca, quel film è “La dolce vita“. Più che un film, un affresco, anzi una mostra, dove ogni diversa scena è un affresco neo-decadente che raffigura uno scorcio del nostro bel paese. Ci sono tutti i nostri cliché: il fanatismo religioso, l’isterismo di massa, l’esoterismo, l’amore struggente, la mondanità, la perversione sessuale. Tutti stereotipi che a distanza di 50 anni sono ancora vivi e vegeti.
Non solo. Federico Fellini riesce ad anticipare tutte quelle che sarebbero diventate le luci sgargianti dell’Italia moderna, che raggiungerà il suo apice nell’era berlusconiana: il gossip, il divismo, le riviste, la mondanità. Fra un’apparizione della Madonna e una serata chic nei salotti della Roma bene, seguiamo le vicende di Marcello, scrittore fallito che a causa del suo lavoro di giornalista frequenta salotti importanti, persone famose e serate mondane. Almeno apparentemente; perché Marcello è disgustato da quella vita. Sub-cosciente della miserabile esistenza che lo circonda, tenta di ricordare le passate aspirazioni intellettuali. Ma è solo il pensiero che lo sfiora un attimo prima di intuire l’entità della sua mediocrità e la sua volontà di fuggire dalla monotonia. La frenesia gli offre una via d’uscita dalla sua sofferenza esistenziale e dalla sua inconcludenza come uomo.
Marcello si confida con il suo amico Steiner: – “Io sto perdendo i miei giorni, non combinerò più niente! Una volta avevo delle ambizioni ma… forse sto perdendo tutto” Che gli risponde: – “Io sono troppo serio per essere un dilettante, ma non abbastanza per diventare un professionista. E’ meglio la vita più miserabile che un’esistenza protetta da una società organizzata in cui tutto sia previsto.” – Gli offre un’opportunità – “Se vuoi che ti aiuti a cambiare abitudini, posso farti conoscere un editore che ti dia la possibilità di fare quello che più ti interessa.” – Marcello guarda in basso, con lo sguardo perso nel vuoto. – “Vuoi pensarci su, poi ne riparliamo insieme?” – Dice l’amico.
Un sorriso di circostanza: “Sì“.
E poi ancora via con le serate, l’avanspettacolo, lo champagne, gli amici e le donne. Tutto si sussegue in modo completamente casuale, come la sua vita, senza alcun vero nesso logico o temporale. Lui, la patetica disperazione della sua fidanzata e tutti i personaggi che lo circondano, dal più chic al più pezzente, dal più ricco al più povero, sono tutti vuoti e miserabili.
C’è un modo per sfuggire a questa commedia, a questo vuoto che sovrasta ogni altro effimero piacere? Forse… ma è un’illusione che si infrange nell’istante esatto in cui lo stimato e invidiato amico Steiner si toglie la vita: – “Forse aveva soltanto paura. Paura di se stesso, di noi tutti“. Non c’è via d’uscita. Forse è meglio continuare a bighellonare finché abbiamo la possibilità di assaporare quei piccoli momenti di artificiosa, fugace felicità.