Milk (2009) per la regia di Gus Van Sant, è un film forte; un connubbio perfetto fra arte visiva e capacità di raccontare una storia affascinante, dolce, a tratti commovente. La storia non comincia sullo schermo del cinema dove sono andato a vedere, da solo, il film. La storia comincia a riflettori accesi, fra gli sguardi indiscreti delle coppiette e dei ragazzi presenti in sala verso me e un altro ragazzo lì presente. Solo anche lui a vedere un film sui gay. Ma non solo di questo si sta parlando.
Stiamo parlando oltre che di omofobia, della paura di paura della diversità! Il messaggio di Van Sant arriva forte e deciso a tutti, spalmando il film dall’inizio alla fine di effusioni e baci tra gay. Anche in sala, con i sorrisetti provenienti dalle bocche dei normali e i silenzi sulle dichiarazioni di chi parla di annullare i diritti dei gay, in quanto incarnazione del male, malati terminali di cui liberarsi. Ovvio che anche in questo caso la chiesa non può che essere protagonista. Ma siamo negli anni 70, quando i diritti fondamentali venivano regolarmente calpestati. Neri, ebrei, gay, persone diverse, malate, da eliminare.
Questo film è un soave inno a uno di quegli eroi che hanno lottato per la libertà di quelle minoranze. Milk era la voce guida della comunità gay di San Francisco, una voce che ha avuto eco in tutta l’America e grazie a questa pellicola lo avrà ancora di più in tutto il mondo. In un mondo dove la paura del diverso, per quanto attenuata rispetto al passato non è ancora scomparsa. In un’Italia dove si da fuoco alle baracche degli extracomunitari, dove si fanno leggi che incrementano le pene per gli extracomunitari, dove si canta di gay guariti dalla loro malattia. Questo film è davvero l’acqua santa per tutte queste persone, per queste bande di farabutti e di razzisti.
Ma la pellicola non è solo un grido che inneggia alla libertà, è anche un saggio mix di narrato e dialoghi, dove tutti i personaggi sono sviluppati in maniera eccelsa, dove la sceneggiatura semplice e lineare, lascia allo spettatore il compito di trarre le dovute conclusioni, senza sfociare in ridicole esagerazioni emotive e piagnistei lacrimevoli (dove invece domina il recente Sette Anime di Muccino).
La figura di Harvey Milk, non viene mistificata. Non si tratta di un Massimo Decimo Meridio o di un supereroe dei fumetti; si tratta di un essere umano come noi, che ha le sue storie tristi, le sue debolezze, le sue paure e i suoi timori. Un essere umano come noi che voleva solo una cosa: che finissero una volta per tutte i pregiudizi e gli immondi deliri dei cattolici, che diventano veri e propri diavoli col forcone giustificati dalla loro credenza che la diversità metta in pericolo la famiglia tanto cara anche ai contemporanei, soprattutto in Italia.
Passiamo così di volta in volta dalle strade di San Francisco, dove i cittadini gay si lanciano in proteste disperate, a filmati d’archivio che documentano le dichiarazioni di Anita Bryant contro la parità dei diritti dei gay. Milk è anche questo, un documentario su quegli eventi storici, ma soprattutto sulla vita di questo personaggio straordinariamente ordinario, parafrasato in maniera magistrale da Sean Penn nella sua migliore interpretazione di sempre. Accompagnato da un cast di attori in splendida forma: Emile Hirsch, Diego Luna, Josh Brolin e uno splendido James Franco (di cui avevo potuto notare già le doti straordinarie di attore in Sonny di Nicholas Cage) con il quale, con grande intensità si perde in gesti d’amore, baci, carezze; ogni smorfia, ogni gesto trasmette sentimenti: amore, gioia, dolore, vita.
Se un proiettile dovesse entrarmi nel cervello, allora possa anche distruggere tutte le porte dietro le quali ci si nasconde. ( Harvey Milk )
Un intenso film che termina con un altrettanto intenso finale, un finale che lascia allo spettatore modo di riflettere sui temi proposti e su quanto anche un solo piccolo gesto possa essere importante per chi è debole e indifeso. Per chi è costretto a nascondersi nell’oscurità per difendersi dalle persecuzioni. Anche questo film, seppure non perfetto, è una luce che risplende vivida in quella onnipresente oscurità.