Stalker

Stalker è definito da alcuni come un film di fantascienza, ma non lo è, anzi, si tratta di un film profondamente drammatico; e il dramma, non è soltanto quello dei tre protagonisti (Lo scrittore, il professore, lo Stalker), ma quello esistenziale dell’intera razza umana. I tre personaggi principali sono una sorta di metafora della decadenza dell’uomo, così come le immagini che scorrono sullo schermo, lentissime e inesorabili, sono allegoria della vita e di tutto ciò che ci circonda. Chiuso, cupo e oscuro è il mondo dove vivono le persone. Vermi striscianti in paludi di pensieri e peccati, lenti, sporchi, confusi, siano essi uomini d’intelletto o uomini di scienza. Destinati a strisciare per tutta la loro esistenza alla ricerca di qualcosa che non conoscono esattamente. Il desiderio, la ricerca, la perenne insoddisfazione. Siamo noi, oppressi e rinchiusi nella nostra stessa bramosia di libertà, perché, spaventati dal mondo, ci rinchiudiamo in una prigione di regole.

Tecnicamente siamo di fronte a uno dei più grandi film nella storia del cinema. Inquadrature, fotografia, colori, luci, ambientazioni: tutto è curato nei minimi particolari. La lentezza insopportabile delle scene trasmette angoscia e tormento senza tempo, lo stesso tormento che prova l’uomo, sempre in attesa di qualcosa di spettacolare, di unico. Ma è lo stesso Tarkovsky, per bocca dello “scrittore”, che ci mette in guardia all’inizio della pellicola: “Il mondo è infinitamente noioso. Non possono esistere nè la telepatia, nè i fantasmi, nè i dischi volanti. Il mondo è regolato da leggi ferree che lo rendono insopportabilmente noioso. Leggi che non si lasciano violare“.

Le promesse vengono tutte mantenute. Comincia così il nostro viaggio dalla città, inerte, vuota, senza colore nè speranza, alla “Zona”, in continuo mutamento, fremente, come freme l’anima dell’uomo; è imprevedibile e per questo ne abbiamo paura. Rappresenta l’ancora di salvataggio, così come la stanza dei desideri è tutto ciò che si vuole ma non si è mai osato chiedere. Ma la Zona lascia passare soltanto gli infelici, coloro che non hanno più nulla da perdere, che sono vuoti, deboli e fragili, perché “debolezza e fragilità esprimono la freschezza dell’esistenza” mentre “rigidità e forza sono compagne della morte“. I dialoghi sono pochi ma brillanti, perché in fondo “è dalla discussione che viene fuori la verità“.

Stalker è cinema oltre l’artefatto, oltre lo spettacolo. Siete avvertiti, non c’è spazio per lo spettacolo in questa pellicola. La pellicola “È” lo spettacolo. Uno spettacolo spogliato di tutto ciò che è ipocrita e illusorio, in favore della verità nuda e cruda e, forse, della speranza che le nuove generazioni (la scena finale del film è iconica), saranno in grado in futuro di rompere finalmente le regole che incatenano il mondo della décadence.