L’inevitabile declino della politica in Italia

Platone scrisse ben 14 dialoghi contro retori e sofisti. Oggi la politica è retorica, i politici sofisti. La sofistica mira al successo personale, alla vittoria sul proprio interlocutore. Nel Gorgia, Platone, durante un suo monologo, parla dell’uomo politico moderno che deve necessariamente rinunciare a seguire l’esempio dei suoi predecessori (che puntavano a compiacere il popolo per ricevere consensi), e impegnarsi a ricercare il bene per sé e per il prossimo. Può sembrare banale ma non lo è, intendo la differenza radicale tra “compiacere il popolo” e “fare il bene del popolo”. Non è una questione di linguaggio ma di scopi, perché gli scopi guidano le azioni.

Per evitare di subire un’ingiustizia ci sono solo due possibilità:

  1. conquistare il potere.
  2. appoggiare chi detiene il potere.

Ma per ingraziare chi è al potere occorre essere esattamente come lui; e non basta: un tiranno ha paura di chi è migliore di lui, quindi solo le persone a lui assoggettate potranno avvicinarlo. In questo modo cosa diventa la politica se non una mera pratica di sopravvivenza? Una pratica che gli italiani conoscono bene: l’arte di sopravvivere… finché è stato possibile.

Quanto volte abbiamo sentito dire: “La politica non parla più il linguaggio della gente”. No, non è proprio così: continuano a parlare la stessa lingua del passato, è il popolo che (merito dell’incremento esponenziale del progresso scientifico e culturale), incomincia a identificare la natura retorica sconclusionata di quel tipo di linguaggio (non significa però che le masse siano coscienti di questo processo e/o siano in grado di allontanarsi definitivamente dalla retorica).

Perché accade proprio in Italia?

L’Italia è un paese giovane, che non ha identità. Lo Stato, soprattutto al meridione, viene solitamente identificato come un “dominatore”, proprio perché l’Italia è stato un paese di dominazioni straniere più o meno tiranniche. Questa memoria storica imprescindibile fa sì che mentre l’americano sia disposto a morire per il proprio paese, l’italiano non è disposto neanche a farsi tagliare i capelli. Il politico, che innanzitutto è un “italiano”, non sfugge a questa distorta identificazione di ciò che è lo Stato. La conseguenza è che “amministrare lo Stato” è soltanto il pretesto per fare i propri interessi personali. A tutti interessano gli affari di “famiglia”, ma a chi interessa qualcosa che si percepisce come “estraneo”? Se l’essenza dello Stato come comunità non viene percepita innanzitutto da chi governa la nazione (e che dovrebbe essere un esempio), perché dovrebbe essere diverso per il suo popolo?

La corruzione, l’evasione fiscale, la volontà di secessione, non sono cose che accadono per caso, ma conseguenze precise a sub-culture storiche radicate profondamente nell’inconscio del popolo italiano. Lo stato Pontificio ha molta più identità storica di noi; ancora una volta, non è un caso se tutti i capi esteri, vengono in Italia innanzitutto per incontrare il Papa. Anche gli italiani (pure i non credenti) hanno più rispetto del Papa che del Presidente del Consiglio.

Il collasso inevitabile della politica

Prima o poi questo sistema doveva collassare e, storicamente, le rivoluzioni avvengono quando la vita e il benessere sociale non vengono più garantiti. Questo è ciò che è accaduto in Grecia e che sta accadendo in Italia. Ma ha senso sostituire un sistema sofistico, con un altro sistema sofistico? Una persuasione con un’altra persuasione? Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia. Negare questa evidenza è la follia radicata nel diffuso bi-polarismo bigotto, che non affligge soltanto la politica, ma tutti i sotto-sistemi del nostro ordinamento sociale: fascisti/comunisti, sinistra/destra, atei/credenti, tutto viene sempre ridotto a una patetica e antiquata visione dualistica del mondo. Questa visione lentamente ma inesorabilmente sta cambiando. Come l’arte de-costruttiva del XX secolo ci ha insegnato (riconoscendo il bello in ciò che era considerato brutto, il fascinans del caos), cominciamo a rigettare ciò che prima poteva essere l’assolutamente giusto (razza ariana, eterosessuali) e l’assolutamente orrendo (negri, omosessuali) e ad accettare e comprendere tutte le sfumature che compongono la natura umana.

La necessità di oltrepassare i vecchi limiti nel processo di sostituzione dell’irrazionalità politica con la razionalità scientifica e tecnologica (che per sua natura non si limita al dualismo, ma anzi, è destinata a rendersi conto di non avere di fronte a sé alcun ostacolo di tipo ideologico e morale, che si tratti di moralità democratica, religiosa o capitalistica), sono la conseguenza inevitabile di un percorso storico che si avvia al compimento e che, in Italia, proprio per la sua natura distaccata dal sistema Stato tradizionale, e simultaneamente, attaccata ai valori morali della Chiesa moderna (che mai come adesso con Papa Francesco, inveisce contro la paura della diversità e contro la pericolosità di retorica e corruzione politica), sta accelerando più velocemente che altrove.