Origini storiche dei conflitti arabo-israeliani

La questione israelianapalestinese è di sicuro una delle più delicate nella storia recente. Di quelle storie che tutti hanno sentito almeno una volta ma della quale pochi hanno compreso la sostanza. Purtroppo non è facile parlarne visto che a prima vista non esiste un evidente distinzione fra “giusto” e “sbagliato”, fra chi ha torto o ragione, ma solo “fatti”, anche parecchio incastrati nella storia, da analizzare e valutare.

Spesso sento chiedere quali siano le ragioni vere della guerra. Sento assumere posizioni pro o contro una fazione senza però conoscerne veramente le ragioni sociali e culturali.

In questo articolo verranno analizzate le cause scatenanti che hanno portato al conflitto (acceso ancora oggi), fra israeliani e palestinesi. Per comprendere la storia recente, bisogna dare uno sguardo al passato, poiché le radici della questione affondano in fatti storici molto lontani nel tempo, primi fra tutti l’infinita diaspora del popolo ebraico, la dissoluzione dell’Impero Ottomano, la nascita del movimento sionista.

Cenni storici e politici

La Palestina è una regione storica del medio oriente compresa fra il Mar Mediterraneo e il Fiume Giordano all’interno della quale sono sempre convissute numerose etnie, la maggior parte delle quali accomunate dal culto della religione islamica. La zona è stata per molti secoli parte integrante dell’Impero Ottomano storicamente caratterizzato per la politica in grado di garantire autonomia ai variegati gruppi etnici che lo componevano.

La zona acquisì importante valore strategico-geografico (sia economico che militare) a partire dal 1869, anno in cui venne inaugurato il canale di Suez: un canale artificiale navigabile che permette il trasporto su acqua dall’Europa all’Asia senza circumnavigare l’Africa (come si era sempre fatto fino ad allora). Successivamente vennero scoperti immensi giacimenti petroliferi che resero ancora più appetibile la zona alle potenze europee che, a partire dall’esito della prima guerra mondiale (che di fatto segnò la fine dell’Impero Ottomano), iniziarono a colonizzare l’intera area al fine di sfruttarne le suddette potenzialità.

I popoli locali, come già accennato, in gran parte uniti dalla fede islamica, iniziarono a catalogare come nemici gli occidentali colonizzatori (visti anche come cristiani), risvegliando così antichi rancori risalenti al periodo delle crociate. Ma questo è solamente l’inizio. Adesso spostiamoci in Europa, dove in Francia era nato e stava crescendo proprio in questo periodo il movimento sionista.

La nascita del Sionismo

Il Sionismo è un movimento politico nato verso la fine del 19° secolo fondato dagli ebrei residenti nell’impero austro-ungarico, il cui fine era quello di creare uno stato ebraico (in pratica la realizzazione di quello che dovrebbe essere nota come terra promessa).

Accreditato fondatore del movimento è il giornalista ebreo ungherese Theodor Herzl, infervorato dagli eventi generati dal cosidetto “affare Dreyfus” che egli seguì come corrispondente a Parigi del giornale Neue Freue Presse. Dato il suo incarico, Herzl ebbe modo di rendersi conto quanto fosse radicato l’antisemitismo nella cultura europea (siamo ancora alla fine dell’800).

Dreyfus era un ufficiale di artiglieria francese (ebreo) accusato di spionaggio a favore della Prussia. Nel 1894 il capitano Dreyfus venne degradato e condannato ai lavori forzati. L’anno successivo il caso venne riaperto per opera del colonnello Georges Piquart, nuovo capo dell’ufficio informazioni dello Stato Maggiore, presentando alle autorità una relazione sull’innocenza del capitano. Subito dopo il colonnello Piquart fu rimosso dall’incarico e arrestato, ma il fatto ebbe una forte risonanza che scatenò un’intensa campagna favore del prigioniero. Tra gli innocentisti c’era anche lo scrittore e giornalista Émile Zola, il quale scrisse una lettera aperta al Presidente della Repubblica. Zola venne processato e si scatenò da parte dello Stato Maggiore una violenta campagna contro ebrei, democratici e liberali.

La violenza contro gli ebrei fu grande abbastanza da scatenare nel nascente movimento sionista la convinzione che gli ebrei avevano bisogno di un proprio stato, dove poter vivere in pace, lontano da false accuse e pregiudizi.

Per i sionisti era fondamentale che questo stato fosse in Palestina. Per l’ebraismo ortodosso invece, il regno di Israele deve ristabilirsi all’arrivo del messia; per accelerare la venuta di questo non c’è che un sistema: obbedire alla volontà divina, vale a dire adempiere alle mitzvot (i 613 precetti fondanti dell’ebraismo). Il sionismo invece era un movimento laico: da qui gli scontri con gli ebrei osservanti. Si opposero al sionismo anche gli ebrei riformati (una forma di ebraismo nata in Germania con concetti radicali per l’epoca, come l’abbandono della circoncisione), i quali sostenevano che gli ebrei costituiscono una comunità religiosa, non un popolo, e che il regno messianico atteso non è che una metafora per un futuro di giustizia; tra gli altri oppositori, il Bund, che lottava per la giustizia sociale e l’eguaglianza dei diritti, e gli ebrei di sinistra, per i quali l’antisemitismo si combatte lottando per il socialismo.

La migrazione ebraica in Palestina

Durante i secoli precedenti, si erano già verificati casi di Ebrei europei che emigravano verso la Palestina ed in particolare a Gerusalemme, la città santa della religione ebraica. Tuttavia dopo la nascita del movimento sionista, si alimentò fra gli ebrei il desiderio di ritornare nei luoghi santi. Grazie all’appoggio della Gran Bretagna (che vedeva di buon occhio la possibilità di insediamenti nella zona di popolazioni provenienti dall’Europa) e alla grande disponibilità economica di cui godevano alcuni settori delle comunità ebraiche della diaspora (il popolo ebraico era stato costretto per secoli a specializzarsi nelle cosiddette professioni liberali e, quindi, a dedicarsi anche al commercio e alle attività economico-finanziarie, con l’occupazione non di rado di importanti cariche in istituti bancari e società d’intermediazione finanziaria), Herzl organizzò il primo convegno sionista mondiale a Basilea nel 1897 e in esso furono poste le basi per la graduale penetrazione ebraica in Palestina, grazie all’acquisto di terreni da assegnare a coloni ebrei originari dell’Europa e della Russia, per poter poi conseguire la necessaria maggioranza demografica e il sostanziale controllo dell’economia che potessero giustificare la rivendicazione del diritto a dar vita a un’entità statale ebraica.

Intanto la comunità arabo-palestinese non vedeva di buon occhio la sempre crescente immigrazione ebraica e diede vita a movimenti nazionalistici che miravano a stroncare questa minaccia di origine straniera. La situazione divenne critica quando, con l’esplodere della prima guerra mondiale, venne coinvolto l’Impero Ottomano, che uscì sconfitto dalla guerra. Il suo territorio venne spartito fra le potenze vincitrici. Francia e Gran Bretagna si presero gran parte del medio oriente e ai britannici venne dato il mandato di Palestina sotto l’egidia della Lega delle Nazioni. Il Regno Unito riconobbe agli ebrei immigranti dall’Europa il diritto di formare un Focolare Nazionale (National Home) in territorio palestinese. L’interpretazione di queste parole sarà fin da subito causa di attriti tra la popolazione araba preesistente (che temeva la costituzione di uno stato ebraico) e i sionisti, che la interpretavano come l’appoggio da parte del governo britannico al loro progetto.

Secondo dopoguerra e nascita dello Stato di Israele

Dalla fine degli anni 30 in poi, soprattutto a causa dell’ascesa al potere di Adolf Hitler in Europa e delle leggi razziali da lui emanate, gli ebrei immigrarono in massa verso la Palestina. Questa situazione venne anche favorita anche dall’Agenzia Ebraica (associazione sionista) che operò minuziosamente per l’acquisto di terreni da assegnare poi alle famiglie di ebrei (l’antisemitismo aveva favorito molto l’avvicinamento da parte degli ebrei alla mentalità sionista).

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, i Britannici abbandonarono la Palestina, e le Nazioni Unite votarono a favore della divisione della Palestina in due stati più o meno di uguale grandezza, uno a maggioranza ebraica e l’altro a maggioranza araba, mentre Gerusalemme (città sacra per entrambe le religioni) sarebbe diventata una città internazionale. La popolazione ebraica contava ormai circa 600.000 unità, e quella araba quasi un milione.

Soddisfare le pur motivate richieste di entrambi è “manifestamente impossibile”, ma è anche “indifendibile” accettare di appoggiare solo una delle due posizioni.

Risoluzione delle Nazioni Unite (UNSCOP)

Le organizzazioni ebraiche accettarono la proposta, mentre i paesi arabi circostanti la rifiutarono. La decisione delle Nazioni Unite fu seguita da un’ondata di violenze senza precedenti da parte dei gruppi militari e paramilitari sionisti, che miravano a conquistare il maggior territorio possibile per il proprio Stato, inducendo alla fuga ed espellendo i residenti arabi. Le forze arabe reagirono, facendo lo stesso contro l’etnia ebraica.

Il 14 maggio 1948, David Ben Gurion, capo del governo ombra sionista, auto-proclamò l’indipendenza dello “Stato ebraico in terra di Israele“. Comincia da questo momento una guerra che sarebbe, a fasi alterne, durata fino ai giorni nostri.