Bellissima copertina, bellissimo disco. Bob Dylan che fino a questo momento aveva inciso dischi prettamente acustici, imbraccia la chitarra elettrica dando alla luce il primo capitolo della sua epopea rock, gettando le basi per un nuovo genere musicale.
I puristi del folk si sentirono quasi traditi, tanto che alla prima esibizione con le nuove sonorità, Dylan venne fischiato e costretto a lasciare il palco. Tornò comunque a suonare con la sola chitarra acustica alcuni dei suoi successi, dando definitivamente l’addio al vecchio folk.
Tuttavia Bringing It All Back Home è ancora un disco di transizione. La prima parte è caratterizzata da pezzi elettrici fra i quali spiccano la bellissima “Subterranean Homesick Blues” e “Maggie’s Farm“. Nella seconda parte dell’album Dylan torna a suonare la chitarra acustica. I brani sono più tradizionali ma sempre di altissima qualità lirica e compositiva, inclusa la conosciutissima “Mr. Tambourine Man“, che sarà ripresa dai Byrds in chiave rock e portata ai primi posti delle classifiche.
La cosa che più sorprende comunque, sono i temi trattati, che da chiaramente politici, diventano più indecifrabili, quasi metafisici. In alcuni casi Dylan prende addirittura in giro la politica, come nella satirica “Bob Dylan’s 115th Dream“. Sembra quasi che volesse a tutti i costi scrollarsi di dosso l’etichetta di cantante di protesta che gli avevano affibbiato.
Non mancano canzoni d’amore di straordinaria bellezza, come “She Belongs to Me” e “Love Minus Zero, No Limit“. che consacrano definitivamente questo album come uno dei più belli di sempre.